La città dei sordi (nuova versione 2024)
Un mio amico che ha quasi dieci anni più di me mi ha raccontato che, quando io ero un ragazzino e lui invece aveva già più di vent’anni, di notte qui nella nostra città arrivavano spesso in moto dei tipi tutti strani che si fermavano nelle zone più degradate e si mettevano a gridare “Perché?” a squarciagola. Capitava quasi sempre nelle notti d’inverno, mi ha riferito il mio amico, quando faceva freddissimo e spesso c’erano anche la neve o la nebbia. Quei tipi con la faccia tutta piena di cicatrici e vestiti di nero da capo a piedi arrivavano tutti insieme facendo rombare i motori, poi si fermavano e con lo spray rosso e nero scrivevano “Perché?” sui muri, soprattutto su quelli delle case e delle fabbriche abbandonate. Quasi sempre scrivevano “Perché?” e basta, ma anche “Perché la guerra?”, “Perché vivere così?”, oppure “Perché la violenza?”, o ancora “Perché le mafie?”. Lo scrivevano bene in grande, e intanto gridavano il loro tag a più non posso. Poi risalivano in moto, facevano rombare i motori tutti assieme, e sempre insieme andavano a fare la stessa cosa in un’altra zona degradata, dopo essersi lasciati dietro una lunga scia di gas di scarico.
Certo gli abitanti della nostra città li sentivano di notte, li sentivano eccome. A quelli che si affacciavano alle finestre per mandarli via a male parole, i motociclisti urlavano addosso le stesse cose che scrivevano sui muri, ma in cambio ricevevano solo insulti. Il giorno dopo, i giornali e la gente comune li liquidavano come tossicodipendenti o sbandati, o anche come psicopatici da sbattere in manicomio.
Qualche volta, tornando da scuola in bicicletta, oppure in auto con mamma e papà da qualche visita ai parenti la domenica sera o durante le Feste, alla luce dei lampioni mi capitava di vedere murate lunghe decine di metri, tutte coperte di quei “Perché?” furiosi. Immaginavo anzi che le bombolette spray grattassero sul cemento, tanto rabbioso doveva essere il gesto di quel chiedere e chiedere senza posa. “Ma chi è stato?”, dicevo allora, una volta di ritorno a casa, oppure ancora in auto. Mia madre mi rispondeva sempre con sufficienza, mi parlava degli sbandati c’erano allora come sempre, e da ultimo mi raccomandava sempre di pensare a studiare e ad andare bene a scuola. “Hai fatto tutti i compiti per domani invece?”, aggiungeva quasi sempre. Mio padre invece, che aveva cominciato a lavorare a quindici anni, mi rispondeva che dovevano essere stati i soliti voglia di far niente, perditempo e fan della moda della bomboletta spray, che presto sarebbe finita come tutte. Le stesse teste calde che lui aveva conosciuto nella Milano degli anni ’70, bravi solo a parlare e a fare danni, e che si alzavano a mezzogiorno se andava bene, perché erano tutti disoccupati cronici. “Quelli lì è gente che va in giro a bere tutta la notte, e più bevono più gli si scaldano la lingua e il cervello”: così me li aveva ritratti una volta. Dopo aver sentito risposte del genere due e o tre volte, le mie domande sugli “scarabocchi dei drogati” sarebbero presto state zittite con tono autoritario: “Smettila! Basta! Ma non lo capisci che noi due vogliamo solo il tuo bene?”.
Di giorno nessuno sapeva dove fossero tutti quei motociclisti, forse andavano a nascondersi in qualche luogo buio per preparare la spedizione successiva. Si sa, la gente comune non ama le domande difficili, la gente vuole essere lasciata in pace e farsi i fatti propri, non ha certo a cuore i grandi ideali come il bene e la pace. La mattina presto le scritte che erano state tracciate dai motociclisti poche ore prima sembravano appartenere ad un altro mondo, e di solito incontravano solo lo sguardo fugace di chi stava correndo al lavoro, o indifferenza, o ancora venivano etichettate come bravate da writer adolescenti, nonché asini a scuola.
Anche di giorno però, le persone che abitavano nelle case da dove si sentivano gridare i motociclisti, non stavano meglio dei biker stessi, mentre di notte con lo spray scrivevano dappertutto “Perché?”. Le persone che abitavano in quelle case avevano solo rimosso alcune domande, avevano solo scelto di non chiedersi certe cose e di non immischiarsi in certe faccende per avere una famiglia, un lavoro e una vita che consideravano normale.
Questo è quanto mi ha riferito il mio amico. Nel frattempo, già da diversi anni, tutte le scritte sono state cancellate, e nella nostra città non c’è più nessuno che fa domande strane, scomode, il che giova grandemente agli affari e alla nostra ricchezza, che da tempo continua ad aumentare a dismisura. Le case e le vecchie fabbriche che una volta erano vandalizzate di “Perché?” sono state abbattute e sostituite da centri direzionali moderni e parchi commerciali videosorvegliati a ogni centimetro quadrato.
I motociclisti invece non si sono più visti né sentiti. Ufficialmente sono stati tutti arrestati e incarcerati, uno per ogni penitenziario del nostro Paese, dal Nord all’estremo Sud, o rinchiusi a vita in qualche ospedale psichiatrico. Della loro incarcerazione a vita poco o nulla importa agli abitanti della nostra piccola e ridente città, tranne a qualche noioso contestatore a vita, con la barba sempre da fare, i capelli arruffati e la sigaretta accesa a tutte le ore, che dietro ai suoi discorsi rivoluzionari nasconde tutti i vizi di questo mondo e mostra ben poca voglia di lavorare e contribuire al benessere economico del nostro ridente gioiello di laboriosità. Non certo il tipo di persone che ci piacciono qui insomma, e la Polizia fa bene a far loro il quarto grado ogni volta che li becca per strada. Perché non li sbatte direttamente qualche mese al fresco a mettere la testa a posto?
Fatto sta che, poche settimane fa, l’amico che mi aveva raccontato la storia dei motociclisti armati di vernice spray mi ha detto che la nostra è la città dei sordi. Cosa voleva dire? Non ha voluto spiegarsi meglio. “Si capisce da sé”, ha continuato. È diventato anche lui un contestatore, un essere inutile al progresso e alla collettività? Il mio amico mi ha anche detto che vuole andarsene da qui, perché per lui nella nostra città l’aria si è fatta irrespirabile. Da allora ho tagliato quasi ogni rapporto con lui, mentre ho molti nuovi amici, con cui la conversazione mi è molto più fluida e l’intesa a dir poco fulminea. Comunque sia, se il mio ex amico invece ha intenzione di andarsene prego, se ne vada dove vuole e ci stia anche tutta la vita, non sarò certo io a fermarlo.
[2024 – nuova versione di “La città dei sordi”, racconto contenuto nella raccolta di viaggi musicali “Autostrada per la follia“, ed. Alter Ego, Viterbo 2017 – riferimento al testo di Why degli Enigma (1996)]
© Alessandro Corrado Baila 2024 – tutti i diritti riservati – vietata la riproduzione, anche parziale, a mezzo stampa o web, salvo esplicito consenso scritto da parte dell’autore
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