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VI SENTO! (nuova versione 2024)

VI SENTO! – nuova versione 2024

Ascoltiamo con attenzione quanto ha da dire un noto presentatore televisivo italiano, che all’ultima conduzione di un popolare quiz show cade vittima dell’insonnia prolungata e del lavoro massacrante:

“Miei carissimi, miei adorati telespettatori che ci seguite a miliardi e miliardi ogni sera, VI SENTO! Vi sento fin dentro il profondo del cuore, fin dentro le budella! Sento voi che mangiate pane confezionato nella plastica e quiz delle sette di sera, sento voi che avete bisogno ogni sera della vostra dose di videospazzatura per digerire la cena e poi dormire senza incubi. Sento voi, disoccupati assuefatti allo squallore politico-socio-economico-culturale! Sento voi, amanti della pace domestica e dell’ordine costituito, voi che negherete sempre la presenza del Male nella vostra casa, anche a costo di schiattare! Sento anche voi che amate le battute facili, i sorrisi finti e le risate di plastica.

Vi sento, vi sento tutti e per questo non dormo da tempo. Come vorrei anche vedervi tutti, tutti insieme qui, in questo studio ricolmo di specchietti per le allodole e lucette per gli stolti, in questo buio tunnel senza fine della banalità più spinta, ma che dico, in questa discarica morale, in questa cloaca dello spirito! Come vorrei stringervi tutti al petto, neanche foste tutti miei figli!

Per tanti anni ho portato sulle spalle l’onere ma anche l’onore di manipolarvi ogni giorno in diretta su questa rete. Per tanti anni vi ho martellato per bene in testa ogni sera che fare tanti soldi in fretta è l’unica cosa che rende la vita degna di questo nome. A quanto leggo, vedo e sento in giro ci sono riuscito, e di questo sono lieto.  Grazie quindi a tutti voi, che ogni sera di ogni santo giorno vi siete esposti eroicamente e senza difese a un bombardamento di stronzate! Anche a Pasqua, Natale e Capodanno! Ogni fottuta sera di ogni fottuta settimana di ogni fottutissimo anno vi siete beccati in diretta il mio bel faccione stracarico di botulino! Come sono stato felice di sentirvi gioire e poi soffrire, esultare e poi intristire a comando! Lo sapevate che il piatto preferito di Giuseppe Garibaldi erano gli gnocchi di semolino alla romana, con un’immancabile bottiglia di vino di Frascati? E che la compianta Regina Elisabetta andava matta per i dischi del nostro grandissimo Adriano Celentano, di cui aveva una collezione segreta, e che ascoltava di nascosto a tutto volume dopo ogni impegno ufficiale, ballando come una pazza insieme al Duca di Edimburgo?  Oppure lo sapevate che nel frigo dell’ex calciatore David Beckam tutte le lattine di birra devono essere allineate perfettamente, ognuna con il marchio ben visibile? Sì? Davvero? E allora grazie ancora, grazie di aver seguito sempre il nostro show spazzatura, peggio di una manica di ossessivo-compulsivi!

Ma ora il mio tempo è passato, e da domani al mio posto ci sarà un giovane. Sarà una nuova alba. Largo ai giovani! Così  sono sempre andati avanti il nostro glorioso Paese e la nostra grande democrazia rappresentativa, e io non posso che inchinarmi a questa legge sacrosanta, adesso che la mia ora è arrivata. Ma non disperate, miei adorati! Perché qui sarete sempre i benvenuti come a casa vostra, voi intenditori sopraffini di canzonette sulle figurine dei calciatori dei mitici anni ’70 e ‘80, e naturalmente anche voi, ammiratori di cantanti che per parlare delle donne vi spiattellano nelle orecchie uno stereotipo maschilista dopo l’altro!  Non disperate, perché manterremo intatte anche tutte le nostre tradizioni educative, e domani stesso sarà un giovane a ricordarvi che tradire gli amici non è certo un problema, se di mezzo c’è un bel mucchio di quattrini erogeni. Così si fa, o no?

Stasera però voglio lasciarvi con una sorpresa, una sorpresa per cui mi hanno pagato il bonus più succoso della storia della televisione mondiale. Sono ricco, ricchissimo! La meta è raggiunta, il vaso è pieno, e non conosco altra gioia che i soldi. Perché continuare a vivere?

(l’inquadratura si allarga su una valletta seminuda, che cammina sculettando, e poi porge al presentatore una pistola su un cuscino rosso decorato; la telecamera in quadra prima il sedere della ragazza, e poi la mano del presentatore, che impugna l’arma con forza)

Miei adorati telespettatori, addio per sempre! Speriamo che anche nell’aldilà ci siano i soldi! Non dimenticate di venire ai miei funerali di Stato tra tre giorni. Voglio, anzi, pretendo una folla immensa, come quella che la domenica ascolta l’Angelus del Santo Padre! Viva, viva e ancora viva il grande calcio italiano e la gloriosa Chiesa di Roma! Linea alla pubblicità e poi al grande telegiornale di questa rete!

(il presentatore si spara in testa e cade a terra con un sorriso da guancia a guancia; seguono scrosci di applausi dallo studio, dove qualcuno prorompe anche in sonori “Bravo!”. Poi la consueta sigla di chiusura e infine dieci minuti di pubblicità su detergenti intimi per le donne, vacanze in località esclusive e annunci di supersconti imperdibili in centri commerciali. Tutte le persone negli spot pubblicitari sorridono e si mostrano felici. Dopo la pubblicità, va in onda la sigla del TG, che subito dà la notizia del suicidio per soldi del presentatore, mostrando le riprese di poco prima. Seguono dichiarazioni encomiastiche di colleghi del piccolo schermo, e subito dopo la conferma dei funerali di Stato.)

[contenuto in origine nella raccolta di racconti premiata “Una domenica di tanti anni fa” (2016)]

Illustrazione di Ketra 

© Alessandro Corrado Baila 2024 – tutti i diritti riservati – vietata la riproduzione, anche parziale, a mezzo stampa o web, salvo esplicito consenso scritto da parte dell’autore

Eros freddo (nuova versione 2024)

Eros freddo (nuova versione 2024)

Una notte di Capodanno di diversi anni fa, una nebbia fitta e gelida mi ha baciato senza posa lungo il cammino verso un locale ancora aperto. Sul marciapiede passeggiava avanti e indietro la Regina della Notte, vestita di ghiaccio e con i tacchi a spillo. Ad un incrocio vuoto e assurdo, dove un semaforo lampeggiava per nessuno, uno straniero mi ha chiesto uno dei mille perché dell’universo. Poi, subito dopo la mia risposta impeccabile, è di nuovo scomparso nella nebbia. Sono entrato nel locale, quindi, ed ero l’unico cliente. Ho chiesto un drink, che ho consumato da solo a un tavolino da quattro persone, seduto ben comodo su cuscini nuovi e imbottiti. Il locale era stato del tutto rinnovato di recente. Il battito del cuore mi rallentava, e sentivo che il tempo si dilatava sempre di più, tant’è che quel long drink mi deve essere durato anche più di un’ora. “Si chiude”, mi ha detto il barista, una volta fatto l’ultimo sorso. Saranno state le undici e mezza di sera. Ho pagato, ho salutato e di nuovo sono uscito, camminando a zonzo, avanti e indietro, a destra e a sinistra, per gustarmi appieno tutti i baci della nebbia. Senza incontrare veramente nessuno, solo sentendo ogni tanto passi o parole sommesse dall’altra parte della strada. Viste attraverso la nebbia, le poche auto lente di passaggio, sembravano tutte scassate, come fatte di carta pesta, con le ruote addirittura fatte di chewing-gum. Le sentivo incedere a fatica, neanche avessero avuto tutte le gomme bucate. Non avevo l’orologio. E i botti? Li ho sentiti solo in lontananza, tanto mi sentivo amato dagli abbracci della nebbia. Forse ho vagato per ore e ore, ascoltando i rumori rarefatti del buio, e i passi della Regina della Notte, che più volte mi ha chiesto se cercavo compagnia. Certo l’ho guardata, lei, bellissima, ma non le ho mai risposto. Una volta davanti al cancelletto di casa, era già la prima alba dell’anno nuovo.

[versione 2024 del racconto omonimo, contenuto nella silloge premiata “Una Domenica di Tanti Anni Fa” (2016)]

© Alessandro Corrado Baila 2024 – tutti i diritti riservati – vietata la riproduzione, anche parziale, a mezzo stampa o web, salvo esplicito consenso scritto da parte dell’autore

Lontano dal tramonto – dal cap. 2 – dischi

Lontano dal tramonto – dal cap. 2 – dischi

Un jukebox suonava canzoni rock a cavallo tra anni ’70 e ’80. Matteo andò davanti al jukebox. Molte di quelle canzoni le conosceva bene, le aveva ascoltate tante volte con mamma e papà quando era ancora un ragazzino, spesso la domenica, quando ascoltava i dischi prima o dopo pranzo.

“Adesso basta, figlio mio”, gli aveva detto il padre una di quelle domeniche, “è ora che cominci ad ascoltare qualcosa di serio, altro che tutta questa musicaccia che si sente alle radio private”, e subito dopo aveva messo su uno dei primi lavori dei Genesis. “Tu intanto siediti qui sul tappeto, davanti all’impianto”, aveva aggiunto, e poi aveva dato in mano al figlio la custodia del disco. “Ascolta e intanto segui il testo, oppure guarda le foto, loro sì che sono musicisti veri. I 33 giri ti impegnano la mente, figlio mio”.

“Cosa vuol dire che impegnano la mente? Non ho capito”, aveva chiesto Matteo.

“Ascoltando un po’ capirai subito”, era stata la risposta. Quando dopo sì e no venti minuti il suono della puntina aveva segnalato la fine del lato A, il ragazzo aveva subito capito il senso di quelle parole.

“Li vedi tutti questi dischi, figlio mio? Alcuni sono andato a prendermeli apposta anche a Bologna o a Milano, ma ne è valsa la pena eccome. Tanti sono arrivati da noi in Italia molto dopo che in Inghilterra, solo per dirti un Paese”, aveva continuato Mario, il padre, una volta finito l’ascolto. Pur conoscendo ancora pochissimo l’inglese, per suo figlio sentire i testi cantati insieme con la musica e intanto guardare la copertina dell’album era stato subito simile a un rapimento. Già dalla domenica successiva, la cosa sarebbe diventata un’abitudine, anzi, sarebbe stato Matteo a chiedere ai genitori di poter ascoltare il più spesso possibile quei nuovi oggetti del desiderio.

[…]

Passavano le settimane e i mesi, e un giorno dopo pranzo Mario invitò di nuovo il figlio a seguirlo in salotto, dove in un angolo era in piedi l’impianto Hi-Fi. “Sei fortunato, e lo sai perché? Perché mica c’è solo il rock qui a casa nostra”, aveva detto, e subito dopo aveva tirato fuori un album live di Bob Marley con gli Wailers. “Anche lui siamo andati a sentirlo dal vivo, a Roma, è stato pochi giorni prima che decidessimo di sposarci. Questo l’ho comprato subito dopo che lui era morto. Dai, perché non metti subito la quarta traccia? Si chiama I Shot The Sheriff, sentirai che attacco fenomenale!”

[…]

Leggendo i titoli delle canzoni del jukebox, tutti quei ricordi erano balenati per la mente a Matteo come una tempesta di lampi, tanto rapida quanto intensa. Le domeniche a casa dei genitori quando ancora faceva la scuola media, il blues che suonava suo padre quando aveva i capelli lunghi, l’ascolto dei dischi le domeniche pomeriggio d’inverno, al calore della stube di maiolica in salotto, Bob Marley e le sue grane con lo sceriffo Tom Brown. Tutto però non era altro che il suono di echi lontani.

[dal capitolo 2 del romanzo a quattro mani “Lontano dal tramonto” (2021), di Alessandro Corrado Baila e Luciano Da Ros]

© Alessandro Corrado Baila 2021 – tutti i diritti riservati – vietata la riproduzione, anche parziale, a mezzo stampa o web, salvo esplicito consenso scritto da parte dell’autore

 

 

Un salume qualunquista (versione 2022)

Un salume qualunquista (versione 2022)

Il sapore di domenica mattina del prosciutto cotto. Prosciutto cotto, ovvero: ragazzini trascinati a forza a messa la domenica mattina, mito della rispettabilità borghese, ipocrisia, predica, pranzo della domenica in famiglia, e infine l’incredibile primitivismo dei programmi TV della domenica pomeriggio.

Tutto questo mi è balenato per la mente qualche anno fa, mentre in una squallida e soleggiata domenica mattina occidentale mangiavo a fatica un panino al prosciutto cotto, il salume più ipocrita e conservatore che esista.

È vero, ci sono anche salumi che politicamente stanno a più a destra del prosciutto cotto, come il prosciutto crudo e ancor più la bresaola. Più che conservatori come il prosciutto cotto però, il prosciutto crudo e la bresaola sono reazionari e tendono a promuovere riforme autoritarie dello Stato e della società. Se chiediamo ad un prosciutto crudo o ad una bresaola cosa ne pensano del progetto di insegnare l’arabo nelle scuole pubbliche, questi due salumi non useranno mezzi termini, né esiteranno a dire che si tratta solo di una porcata voluta dai comunisti per fare un favore ai loro amici integralisti islamici. Alla stessa domanda invece un prosciutto cotto si sente imbarazzato e arrossisce, perché vorrebbe sì essere schietto come un prosciutto crudo o una bresaola, cosa che però gli è severamente proibita dalla sua doppia morale. Il prosciutto cotto tenterà allora di ubriacare di parole l’interlocutore senza mai venire al punto, ribadendo l’ambiguità strutturale delle sue posizioni. Mentre infatti i salami, soprattutto quelli con l’aglio, vantano una lunga tradizione di lotte sindacali per i diritti del lavoro, e alcuni tipi di mortadella, in particolare quelle con i pistacchi, hanno tendenze decisamente libertarie o espressamente anarchiche, storicamente il prosciutto cotto si schiera alternativamente con tutti i salumi pur di mantenere la poltrona.

Oggi, in anni in cui si cercano prevalentemente piaceri facili da ottenere e veloci da consumare, si pensa prevalentemente al prosciutto crudo e alla bresaola da un lato e al salame e alla mortadella dall’altro come ottimi nel panino e nel tagliere, oppure accompagnati da vino, formaggi, sottaceti, verdure grigliate e quant’altro. L’edonismo contemporaneo ha però il subdolo fine di farci dimenticare la storia recente del nostro Paese e il ruolo determinante che i salumi hanno avuto in essa. Da una parte infatti, il prosciutto crudo e la bresaola non hanno mai nascosto le loro simpatie per lo spontaneismo armato di estrema destra. Alcune varietà locali anzi si sono espresse dichiaratamente in favore del ritorno del fascismo in Italia e hanno sempre tributato il loro plauso ai regimi autoritari e dittatoriali che via via sono sorti nel mondo. All’estremo opposto, il salame e la mortadella non hanno mai preso una posizione chiara contro il terrorismo di estrema sinistra e il suo folle principio di cambiare un Paese in meglio con le armi e la violenza, e senza avere un consenso diffuso.

In mezzo a questo conflitto di fazioni opposte sta storicamente il prosciutto cotto, che, manovrando a suo piacimento i salumi di entrambe le fazioni e manipolando il consenso dei consumatori, ha tratto un doppio vantaggio dalla cosiddetta strategia della tensione, e ha aumentato le sue vendite in maniera esponenziale, soprattutto tra chi parteggiava alternativamente per gli uni o per gli altri a seconda della convenienza del momento.  Da questo dipende in gran parte il successo delle salumerie dichiaratamente di centro e a conduzione familiare, nelle grandi città come nei piccoli centri. Sia nelle grandi città nei piccoli centri del nostro Paese, alcuni salumi in vendita nelle salumerie dichiaratamente di centro sono stati protagonisti di un’ascesa senza precedenti nel mondo degli affettati, sia in fatto di consenso tra i consumatori, sia in fatto di vendite. Questo però grossomodo fino all’esplosione della crisi nel nostro Paese nel 2009, che ha visto la scomparsa o la concentrazione nei centri commerciali di tante piccole salumerie qualunquiste. Una strategia di successo allora come oggi è però sempre quella di posizionare un grande prosciutto cotto di prezzo medio-alto al centro del banco dei salumi, in modo da offrire immediatamente al cliente una scelta con cui non sbagliare mai.

In generale, per quanto sfiziosi siano e per quanto profonda e appagante sia l’estasi sensoriale che ci donano i salumi, quando li mastichiamo e poi li digeriamo non dobbiamo mai dimenticare le loro precise responsabilità storiche, anche perché il remoto anno di produzione di molti salumi dominanti nel nostro Paese li rende ormai inservibili. Inoltre, per quanto moralmente riprovevole sia il comportamento del prosciutto cotto, forse ancora più abietto è però l’agire di piccoli gruppi di culatelli, porchette, soppresse, ossocolli, lardi, finocchione, spianate, spalle cotte, presunti affettati dietetici, versioni ipercaloriche di affettati esteri e altri salumi minori, che senza alcuna vergogna corteggiano questo o quel prosciutto cotto maggiormente in voga sulle tavole degli Italiani a seconda della stagione, al solo fine di aumentare il fatturato delle rispettive salumerie di appartenenza, salvo clamorosi voltafaccia.

Rispetto a pochi decenni fa, tuttavia, oggi tutti i tipi di salumi o quasi sono stati assorbiti dalla produzione alimentare anonima di massa. Mortadella o bresaola, salame o prosciutto crudo o ancora prosciutto cotto che compriamo, oggi la stragrande maggioranza degli affettati che finiscono nella pancia dell’uomo comune contengono zuccheri, coloranti, conservanti, aromi artificiali ed esaltatori di sapidità, che nulla hanno a che fare con la loro schiettezza originaria. Inoltre, al di là delle dichiarazioni d’intenti, oggi nelle dispute tra salumi l’aspetto ideologico è all’acqua di rose, se non inesistente, mentre prevalgono chiaramente le lotte che mirano alla conquista di nuovi mercati esteri, all’aumento delle vendite e all’arricchimento tramite banche, fondazioni e società finanziarie. L’unica alternativa credibile al redditizio compromesso tra salumi capeggiato dal prosciutto cotto è forse rappresentata dallo speck di maso, che ha però un bacino di consumatori molto ridotto e localizzato, e non può quindi competere con i grandi numeri degli affettati nazionali. È quindi di grande attualità la proposta simbolica avanzata pochi mesi or sono da un eminente prosciutto cotto alle erbe dell’Alta Toscana, che prevede di cambiare la forma del Gran Consiglio dei Salumi da semicircolare a circolare. Bando per sempre quindi a diatribe asperrime al chiuso, manifestazioni di protesta oceaniche e scontri di piazza tra fazioni opposte, con tanto di resti di salame o di bresaola, di mortadella piuttosto che di prosciutto crudo, che per oltre mezzo secolo sono rimasti sulle piazze d’Italia, a testimoniare quanto estremi fossero lo scontro ideologico e la lotta politica. E soprattutto: dopo tanti decenni di ipocrisie e sofisticazioni alimentari, finalmente un prosciutto cotto con il gusto della sincerità. 

[dalla silloge di racconti brevi “Una domenica di tanti anni fa” – versione inedita e ampliata nel corso degli anni, dopo la pubblicazione del volume (ahimè!)]

Lontano dal tramonto – dal cap. 2 – dischi

Lontano dal tramonto – dal cap. 2 – dischi

[…]

Dentro il bar, un jukebox suonava canzoni rock a cavallo tra anni ’70 e ’80. Matteo andò davanti al jukebox. Molte di quelle canzoni le conosceva bene, le aveva ascoltate tante volte con mamma e papà quando era ancora un ragazzino, spesso la domenica, quando ascoltava i dischi prima o dopo pranzo.

“Adesso basta, figlio mio”, gli aveva detto il padre una di quelle domeniche, “è ora che cominci ad ascoltare qualcosa di serio, altro che tutta questa musicaccia che si sente alle radio private”, e subito dopo aveva messo su uno dei primi lavori dei Genesis.

“Li vedi tutti questi dischi, figlio mio? Alcuni sono andato a prendermeli apposta anche a Bologna o a Milano, ma ne è valsa la pena eccome. Tanti sono arrivati da noi in Italia molto dopo che in Inghilterra, solo per dirti un Paese”, aveva continuato Mario, il padre, una volta finito l’ascolto. Pur conoscendo ancora pochissimo l’inglese, per suo figlio sentire i testi cantati insieme con la musica e intanto guardare la copertina dell’album era stato subito simile a un rapimento. Già dalla domenica successiva, la cosa sarebbe diventata un’abitudine, anzi, sarebbe stato Matteo a chiedere ai genitori di poter ascoltare il più spesso possibile quei nuovi oggetti del desiderio.

“I Genesis siamo andati anche a sentirli dal vivo io e la mamma”, aveva detto il padre al suo unico figlio una di quelle domeniche.

“Ma come? Tu e la mamma? Ma quando?”, gli aveva chiesto il ragazzo, stupito.

“Vieni qui, ti faccio vedere qualche foto di allora”, aveva ribattuto Mario. “Eccoci qui. Adesso ci credi che una volta avevo i capelli lunghi? Mi facevo anche il codino. Guarda come siamo vestiti qui io e tua madre, tutta roba che nei negozi non si trova più. È stato qualche anno prima che nascessi tu.”

Dopo diverse incursioni tra Led Zeppelin, Deep Purple e anche Frank Zappa, sarebbe arrivato il turno di In The Air Tonight di Phil Collins. Per tutta la durata del pezzo, il ragazzo era rimasto come ipnotizzato. Nel frattempo, a scuola si cominciava a procedere sempre più con l’inglese, e con l’aiuto della madre Matteo si sforzava di comprendere i testi di tutti quegli LP. Capitava anzi che, appena iniziata l’ora di inglese a scuola, spesso l’alunno tirasse fuori una trascrizione a mano del testo di Stairway To Heaven piuttosto che di Kashmir. Insisteva subito per avere la traduzione completa, ma la professoressa si mostrava quasi sempre restia a spiegare del tutto il significato del testo cantato. “Cosa vuol dire che lei si compra la scalinata per il Paradiso?”, aveva chiesto più volte il ragazzo, ma l’insegnante aveva cambiato discorso ogni volta.

Leggendo i titoli delle canzoni del jukebox, tutti quei ricordi erano balenati per la mente a Matteo come una tempesta di lampi, tanto rapida quanto intensa. Le domeniche a casa dei genitori quando ancora faceva la scuola media, il blues che suonava suo padre quando aveva i capelli lunghi, l’ascolto dei dischi le domeniche pomeriggio d’inverno, al calore della stube di maiolica in salotto, Bob Marley e le sue grane con lo sceriffo Tom Brown. Tutto però non era che il suono di echi lontani.

[dal romanzo “Lontano Dal Tramonto” (2021), nuovo romanzo di Alessandro Baila e Luciano Da Ros; disponibile alla Libreria Bassanese, alla Piccola Libreria Andersen di Marostica e online al link https://www.ebay.it/itm/184829414488]

Delirio sull’orlo del fallimento

Delirio sull’orlo del fallimento

Ecco a voi il delirio di un barista logorroico che sta per chiudere il suo locale…

Ormai non so più che cazzo farmene del mio locale … Ormai non conviene neanche più tenerlo aperto, non viene mai nessuno, neanche d’estate… La gente non ha più soldi per andare in giro a locali…  Oppure se una sera fa festa il giorno non può mangiare niente e deve fare gli straordinari … Certo che la vita diventa proprio triste quando non fai più neanche un salto nel mio locale, neanche per un caffè e due chiacchere … Io lo so fare benissimo il caffè… In tutti i modi possibili e immaginabili … Una volta anni fa un tipo mi ha chiesto un caffè liscio … Io invece apposta gli ho fatto un deca … Ma il tipo non si è accorto di niente … Anzi, mi ha anche detto che era buonissimo … Perché il mio deca è ancora più buono del caffè normale … Ti dà una carica poi … Una carica che neanche ti immagini … Devi provare … Io poi sono anche bravo a conversare … Parlo con tutti senza problemi… So parlare di tutto … Ho cultura io …. Una volta con un cliente ho parlato anche di astronomia… Peccato che se ne sia andato dopo pochi minuti … Visto fuori dalla Terra il cielo è nero … Anche qui stasera il cielo è nero … Era bello parlare con i clienti una volta … Veniva tutto così naturale … Adesso faccio una vita triste invece … Non sono depresso però …. Vita triste, sì, come questi anni in Veneto … Com’è cambiato il Veneto … Non parliamo poi della domenica sera … La domenica sera mi sento così solo nel mio bellissimo locale … Da me la domenica sera ci viene solo la Sera, soprattutto quando fa freddo … O quando c’è proprio il gelo … Quel gelo che ti entra nelle ossa … La Sera, sì … Porta sempre un abito lungo e nero … Ma è sempre un abito leggero … Chissà come fa quando esce e c’è la neve … O il ghiaccio magari…. In gennaio poi… Si vede che ha una temperatura corporea inferiore alla norma … Quella è tutto tranne normale … Dev’essere una specie di rettile a sangue freddo … Ma che freddo… Freddissimo …. Ogni volta che ti chiedi quanti anni avrà mai questa Sera non sai mai cosa pensare … Venticinque? Trenta? O quaranta? Magari anche cinquanta … O di più … Chi lo sa, con tutto quel trucco che si spiaccica sempre in faccia … La vedi entrare e sedersi al bancone sempre allo stesso posto… Non dice niente, non ordina niente, ti fissa e basta, aspetta solo che chiudi … Ti guarda sempre strano … Qualche volta pare che sia lì lì per dirti “Mi piaci” … Altre volte invece fa la faccia annoiata … O ti fulmina con lo sguardo …. Quello sguardo mi fa venire i sudori freddi … Brrr …. Qualche volta provi a scambiarci due parole, provi a dire cose come “Eh sì, anche stasera si chiude presto”, ma lei non ci casca mai …. Sempre muta … Forse ha una brutta voce e si vergogna a parlare … E dire che pare proprio bella… Ma chissà com’è senza trucco … Magari ha una voce stridula… O una voce bassa, da uomo … Magari è un travestito… O un transessuale … Sì, secondo me è proprio un transessuale … Io non me lo farei mai un transessuale … Io ho ancora dei valori … Io non sono depresso …. Io non sono logorroico … Infermiera, scusi, ma cosa c’è nella flebo che mi state facendo?

[2017; dalla raccolta di racconti sul Veneto “Sulla linea tra giorno e notte“, sezione “Sfilata di deliri”; Ed. Il Torchio, Padova 2019]

Lontano dal tramonto – incipit

Lontano Dal Tramonto è il nuovo romanzo scritto a quattro mani da Alessandro Corrado Baila e Luciano Da Ros. Si potrebbe dire un esperimento di scrittura molto più diurna e realistica rispetto ai primi tre capitoli dei Racconti del Terzo Occhio. Con un finale a sorpresa e i consueti riferimenti alla musica.

Lontano dal tramonto – incipit

Un gelido lunedì notte di gennaio, un tale di nome Matteo Rossi, che andava ormai verso i quarant’anni, sentì alle 4 precise il suono della sveglia. Accese la luce sul comodino e prima di alzarsi accarezzò un po’ i capelli alla moglie Paola, che era un paio d’anni più giovane di lui, poi le sussurrò nell’orecchio uno stanco “Dormi, amore, dormi.” Nel dormiveglia, la moglie rispose “Dai, stai qui ancora un po’…”, ma come sempre lui le disse “Lo sai che non posso, amore, lo sai…”. Poi si alzò, si preparò in fretta e dopo un veloce caffè salì nella sua vecchia utilitaria. Accese la radio per sentire un po’ di musica o qualche notizia, anche se già da tempo soprattutto le notizie lo infastidivano e basta. Poi partì e pian piano si avviò verso il posto di lavoro. Le strade che percorse quella notte erano deserte e silenziose, come possono esserlo le strade di una cittadina di provincia, molto prima che sorga il sole e il traffico dei lavoratori riempia l’aria di rumore e di gas. Guidando verso l’ipermercato dove era atteso per l’inventario, incrociò una sola auto sulla sua strada. Alla radio ebbe la fortuna di sentire una vecchia hit dei suoi vent’anni, che gli ricordò di quando frequentava l’università e con i compagni di studi parlava di un futuro molto diverso dal presente di quel lunedì notte.

Dopo una ventina di minuti, Matteo arrivò al parcheggio del posto di lavoro. Davanti a lui e ai colleghi che scendevano dalle auto, si stagliava muto e mostruoso un ipermercato enorme e anonimo, dove tutto il personale veniva assunto solo tramite contratti a termine. Non solo per risparmiare sui contributi, ma anche perché, come dicevano i dipendenti ai neoassunti, “Qui resisti al massimo un anno, un anno e mezzo se proprio hai due palle d’acciaio.” Il marito di Paola invece lavorava in quell’ipermercato da quasi tre anni. “Vivo di sei mesi in sei mesi”, era solito dirsi a mezza voce anche sul posto di lavoro, mentre riempiva in fretta uno scaffale dopo l’altro, oppure tornando a casa dopo aver firmato un altro contratto a termine. “Vivo di sei mei in sei mesi”, si diceva spesso a mezza voce, come se fosse stato un operato di tumore che ogni tot tempo deve presentarsi ai controlli medici, sempre con l’ansia di una ripresa di malattia.

Forse Matteo non aveva esattamente due palle d’acciaio, ma nemmeno molta scelta. C’era il mutuo da pagare per l’appartamento, e Paola non trovava altro che lavori saltuari e malpagati da quando aveva messo al mondo il piccolo Luca. Nonostante tutti quei contratti a termine poi, l’ipermercato era uno dei pochissimi posti in zona a pagare regolarmente, anche se poco in realtà, e dai discorsi che si sentivano in giro su altre aziende bastava poco a capire che i dipendenti di quell’enorme punto vendita erano diventati quasi dei privilegiati. Dei privilegiati a dover lavorare quasi senza respiro dalla mattina alla sera, anche la domenica, con il giorno libero passato quasi solo a dormire e poco altro, in una succursale dello sfruttamento selvaggio.

[…]

Dieci ore al giorno, anche la domenica, dieci ore al giorno per meno di 1.200 Euro al mese, questo era il meglio che era riuscito a trovare Matteo. Certo aveva un giorno libero, ma la mattina di quel giorno se ne stava a letto fino a tardi e poi non aveva voglia di fare nulla, solo di stare sul divano e intontirsi un po’ ascoltando la TV. La sera poi c’era quasi sempre da andare a letto presto. Ogni tanto si chiedeva da quanto tempo non uscisse neanche un paio d’ore con qualche vecchio amico per raccontarsela un po’ e bersi una birra.

[…]

Arrivato dunque al lavoro per l’inventario, Matteo scese dall’auto e in fretta si avviò all’entrata per sottrarsi alle frustate di un ventaccio gelido. Dalla parte opposta vide arrivare un collega, Luciano, che aveva circa sessant’anni. Prima di iniziare a lavorare all’ipermercato, per quasi venticinque anni era stato titolare di una carrozzeria con alcuni soci. Ora invece i locali della carrozzeria erano vuoti da diversi anni, dopo che negli ultimi mesi erano rimasti solo lui ed un unico socio. Eppure non aveva mai perso il sorriso, nonostante la fine della sua carriera di piccolo imprenditore si fosse portata dietro anche il naufragio del matrimonio e la separazione dalle due figlie adolescenti.

“Ehilà Teo, come butta? Cos’hai fatto l’ultimo dell’anno?”, chiese Luciano, con voce squillante e gli occhi vispi nonostante la levataccia.

“L’ultimo dell’anno? Ho bevuto un bicchiere di prosecco e sono andato a letto alle dieci, non ho neanche sentito i botti da quanto stanco ero…”

“Cazzo, Teo, ma chi è che c’ha sessant’anni qua, tu o io?”

“Perché? Dai, sentiamo, tu cos’hai fatto l’ultimo?”

“Sono stato in montagna con le mie figlie e la mia compagna. Mangiato benissimo e pagato un cazzo. Siamo andati anche a farci una ciaspolata la mattina del primo.”

“Wow …”

“Dai, Teo, basta sempre con ‘sto cattivo umore … Perché non …”

“Luciano, senti, oggi è non è giornata… Oggi proprio no. Che tra l’altro è ancora notte poi… Leviamoci dalle palle ‘sto cazzo di inventario e morta lì.”

“Ok… Ci vediamo dopo.”

“A dopo.”

 

Anche se era di nuovo stato scontroso con Luciano, c’è da dire che Matteo invidiava spesso il suo collega. Soprattutto gli invidiava la voglia di scherzare e la battuta sempre pronta, che aveva anche durante le giornate più pesanti. […] Ora che Luciano aveva un lavoro con contratto invece, il suo collega più giovane si chiedeva spesso quanto gli rimanesse dello stipendio, una volta pagati l’affitto e il mantenimento delle figlie. Matteo invece era oltre vent’anni più giovane di Luciano e viveva con la moglie e il figlio. A confronto del suo collega avrebbe potuto tranquillamente dirsi fortunato. Eppure, ogni volta che si parlavano, anche di argomenti seri, Luciano gli appariva molto più felice di lui, come se fosse stato capace di prendere sempre la vita così come veniva, come un gioco, con una leggerezza che a tanti colleghi era del tutto sconosciuta.

[incipit del nuovo romanzo “Lontano dal tramonto”, di Alessandro Corrado Baila e Luciano Da Ros, 2o21]

disponibile alla Libreria La Bassanese, alla Piccola Libreria Andersen di Marostica, al Bar Pio 10° in Via San Pio X a Bassano del Grappa e al link https://www.ebay.it/itm/184829414488 , oppure contattandoci direttamente all’indirizzo ale.corr.baila@gmail.com

Ed ecco a voi un pezzo a tema, visto che il protagonista Matteo ama molto il jazz…

 

 

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