Campane di smeraldo (extended mix 2024)
Il lavoro in catena di montaggio è sempre uguale a sé stesso. In più adesso si lavora quattordici ore al giorno tutti i giorni solo per avere i soldi per tirare avanti appena. Delle ultime ferie ci ricordiamo a fatica, i giovani poi continuano a chiedere con insistenza che roba saranno mai state le vacanze, ti chiedono cos’è il mare o cosa sono le montagne, o ancora cos’è la neve. In pensione non si va più, l’età sfiora ormai gli ottant’anni, tanto che diversi operai ultrasettantenni schiattano regolarmente in fabbrica, chi di infarto, chi di ictus, chi di qualche brutto incidente. Oppure dopo essere venuti lo stesso regolarmente al lavoro, pur sapendo di essere malati. Per avere i soldi per curarsi. E quindi privandosi di quelli per mangiare. Sono questi i privilegi di chi oggi ha la fortuna di avere ancora un lavoro.
La sanità pubblica non se la ricorda quasi più nessuno. E lo Stato sociale? Ah, beh, tutto andato a puttane pure quello, così tanti anni fa che la cosa sta già nei libri di Storia, scritti da chi con il sudore della fronte si ostina con tutto sé stesso a credere che esista ancora veramente il tempo. Oh, che sia chiaro: sono tutte riflessioni notturne, in ore rubate al sonno e al riposo dopo tutto quel lavoro.
Per fortuna però sono tempi moderni, ma moderni assai, e non c’è più quella fastidiosa sirena dal suono acuto, che sancisce la fine della giornata lavorativa, quando fuori è già buio da un pezzo, anche d’estate. Adesso ci sono le due campane di smeraldo della chiesa sconsacrata di fronte alla fabbrica, che con i loro battiti lenti e cupi annunciano che è di nuovo tempo di dedicarsi a sé stessi. Il loro suono verde scuro ricorda i tempi lontani in cui c’erano ancora alberi e qualcuno credeva ancora in Dio, che ora invece è solo uno scheletro muto, proprio come la maggior parte dei capannoni industriali.
Tempo di dedicarsi a sé stessi dunque, magari cambiando aria. Ma come fare? La periferia industriale è immensa, si estende per centinaia di km in lungo e in largo, e c’è gente che ride in faccia agli stranieri che raccontano di città con un centro storico. Per vedere un paesaggio diverso bisogna guidare per ore e ore a tutta velocità, ma una volta arrivati al confine è già tempo di tornare al lavoro in fabbrica. Questa però ormai è solo una leggenda, perché nessuno degli operai ancora vivi ha mai fatto il viaggio. È tutto un vivere in anni surreali, tanto che se ne pronunci il numero senti un senso di vuoto spinto, una totale mancanza di significato. Tempo di pensare e ripensare comunque ce n’è poco, anche perché nei nostri anni i pensatori sono davvero sgraditi, anche quelli che abbozzano solo una mezza idea ogni tanto, e magari proprio per questo si distraggono dalla linea di montaggio o qualche altra macchina, che dà lei il ritmo a noi. Sono loro che ci dicono cosa fare quando. Capireparto non ce ne sono più da anni e anni, non servono più, adesso ci sono le macchine che pensano a tutto, e l’unico pensiero, l’unica fissazione che ci concedono è produrre, produrre e ancora produrre altre macchine. È successo più di una volta che qualcuno è stato beccato una, due e poi anche tre volte a pensare cose diverse – ed è finito per strada. Che è come dire che è stata la fine. Altri operai, soprattutto quelli più anziani, sono stati beccati più volte con il fiatone, o a dire “Non ce la faccio più! Basta!”. A loro è toccata la stessa sorte. Perché le macchine comunicano tra di loro, anche a centinaia di km di distanza, senza bisogno di cavi né reti, e chi è stato cacciato da una fabbrica può star sicuro che poi troverà solo porte chiuse.
Poco importa però se la periferia industriale è solo un deserto da decenni, perché lo sfacelo e il silenzio fanno sembrare infinite le strade e hanno reso ancora più imponenti le centinaia di scheletri di vetro, acciaio e cemento. Per questo dopo il lavoro non rimane altro da fare che andare a procurarsi del cibo industriale a prezzi esorbitanti, in punti vendita dove non lavora più nessun essere umano, e poi chiudersi in sé stessi dentro case fornite di tutto l’occorrente per non uscirne mai, se non per andare a lavorare.
(tratto dalla cartella inedita “Racconti riscritti e rifritti”; scritto in origine nel febbraio 2013, ascoltando i primi minuti di Logos Live dei Tangerine Dream, Londra 1982, e contenuto nella silloge di racconti premiata “Una Domenica di Tanti Anni Fa”, Roma 2016)
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